Grazie per questa intervista Max,e per l’ennesima partecipazione al #GMSUMMIT19. A quando risale la vostra prima partecipazione?
Il 2013 è stato il nostro primo anno e da allora non siamo mai mancati. Abbiamo sempre trovato e condiviso ottimi spunti di riflessione con le persone incontrate. Ci auguriamo di poter essere presenti ancora per molti anni in futuro.
Vi siete sempre distinti per una grande creatività, ma come cambia la creatività in un contesto in cui il rapporto tra brand e utente è sempre più fluido sotto il profilo dello spazio, del tempo, del device?
La tecnologia, la fluidità del contesto e la scienza dei dati nell’universo pubblicitario stanno cambiando l’approccio alla creatività. Abbiamo informazioni in grado di contaminare il processo creativo e sappiamo in modo predittivo che cosa è più probabile che sia efficace.
Avere accesso alle informazioni in ogni istante, con ogni strumento e soprattutto in tempi rapidi, pone il creativo nella condizione di non avere una seconda occasione per fare una buona prima impressione. Il messaggio oltre ad utilizzare una creatività “disruptiveness”, deve essere rapido nella sua esposizione, deve attrarre, ispirare e convincere in tutte le forme in cui è declinato.
Creatività, che per fortuna, rimane ancora l’ago della bilancia ed è ancora in grado di fare la differenza.
Una creatività, che nella sua assoluta libertà d’espressione, deve essere contaminata e guidata dai dati, plasmarsi in funzione delle peculiarità del ricevente il messaggio.
Una recente ricerca negli Stati Uniti, ha rilevato che il 71% dei consumatori dichiara di avere il doppio delle probabilità di cliccare un annuncio personalizzato, pertinente e utile, rispetto ad uno generico. La personalizzazione creativa impatta sul tono di voce, sull’immagine e su tutti quegli elementi sensoriali che sollecitano i sensi dei nostri interlocutori. Anche una musica differente abbinata allo stesso video genera risultati straordinariamente diversi in funzione del segmento di pubblico a cui è indirizzata.
Ma come possono poesia e genialità abbracciare i confini che l’arido dato impone?
Questa pratica, nonostante tutto assai poco diffusa, può apparire un ossimoro e per molti creativi è sintomo di gastrite generalizzata, ma, riflettendoci, il dato ci indirizza verso quella direzione da sempre agognata, raggiungere la persona giusta, al momento giusto e con il giusto contenuto. Più la qualità del dato è elevata, migliore sarà la risposta creativa e maggiore sarà l’efficacia del nostro messaggio.
Una creatività che cambia, che diventa più incisiva e fluida, che nasce dal monitoraggio costante di abitudini, luoghi, oggetti ed intercetta il consumatore in quei “micro-moments” in cui il bisogno lo rende più sensibile, vicino al brand e al prodotto. Il nostro annuncio non è più percepito come invadente, poiché, veicolato al momento giusto, diventa risposta ad un bisogno.
Uno dei tuoi speech al Global Summit si intitola “Il ROI dell’emozione”. In un contesto di marketing sempre più basato sulla tecnologia e sul dato, quale valore ha l’emozione?
Richard Thaler, recente premio Nobel per l’economia, grazie al suo contributo all’economia comportamentale, ha integrato l’analisi delle decisioni economiche con la psicologia ed ha evidenziato e dimostrato come le nostre motivazioni d’acquisto, nonostante dati certi e numeri logici, siano molto spesso irrazionali, guidate dall’emozione e dall’istinto. Anche recenti indagini scientifiche di matrice italiana, affermano e confermano che quasi il 90% delle scelte d’acquisto sono prese su basi irrazionali.
Una bella notizia per chi si occupa di creatività, poiché alla base di una sollecitazione emotiva, c’è sempre un’idea creativa efficace, che tiene al centro l’uomo, le sue abitudini e le sue dinamiche comportamentali.
Aristotele, il padre della persuasione, ce lo aveva anticipato già duemila anni fa. Ogni racconto, per essere efficace, deve avere LOGOS, cioè una logica “datadriven”, ETHOS, carattere, credibilità, competenza e soprattutto PATHOS, l’emozione.
Emozione che non può essere abbandonata quando il nostro target diventano le aziende e non più il consumatore.
Io non credo nella distinzione tra Btb e BtC, ma con la giusta sensibilità, sono convinto che la direzione da seguire sia PtP, cioè Person to Person.
Come sostiene Richard Thaler, la creatività e le buone idee, sono in grado di emozionare e condizionare gli acquisti, indipendentemente dal target, dal prodotto e dal servizio proposto.
In quest’epoca dove il dato è considerato la nuova valuta, l’elemento fondamentale è e rimane la creatività. La tecnologia facilità le nostre scelte, le orienta, è predittiva, ci aiuta ad essere più focalizzati nella determinazione dei nostri messaggi, ma non potrà mai sostituire lo splendore della mente creativa e le sue emozioni. La verità oggettiva del dato ci aiuta a mettere in discussione le nostre ipotesi, orienta le nostre percezioni e le traduce in emozione creativa.
La “partnership” uomo-macchina sta contribuendo in maniera significativa all’evoluzione della creatività. L’intuizione e l’empatia umana, combinata con algoritmi analitici sta generando risultati sorprendenti nel ROI delle campagne digitali personalizzate, sfiorando in alcuni casi tassi di conversione che arrivano al 40% rispetto a messaggi generici.
Come percepite l’evoluzione della vostra clientela nell’atteggiamento verso il digitale?
Nel 1994, quando mi affacciai al mondo digitale progettando il mio primo sito internet, mi resi immediatamente conto della difficoltà, da parte di molte aziende, di saper interpretare e comprendere le opportunità che un corretto approccio digitale poteva significare.
Oggi, dopo oltre 25 anni di profetizzazione, devo constatare che la cultura digitale fatica ancora ad essere abbracciata ed accolta in tutte le aziende allo stesso modo.
La peculiarità di vangogh ed il nostro approccio omnicanale, accompagnano i nostri clienti nella definizione di una strategia, dove il digitale viene accolto come elemento pregnante, innovativo e trainante, ma è parte di un disegno più ampio, dove il brand assume un’importanza sempre più strategica. Un brand che diventa sempre più relazione emotiva e psicologica con il cliente, perché è importante ricordare che prima di vendere un prodotto o un servizio, dobbiamo vendere la marca.