Grazie per questa intervista e per la partecipazione al #GMSummit24.
Nuove ricette per il digitale e il marketing online: proporrete al #GMSummit24 qualche novità, oppure un prodotto o servizio che metterete in qualche modo in evidenza o di cui volete accennare in queste righe?
Parliamoci francamente: c’è ben poco da inventarsi di nuovo, credo sia sufficiente ciò che abbiamo a disposizione. Per inventarsi qualcosa che valga la pena di esser messo in evidenza bisogna avere delle risorse valide e non indifferenti, altrimenti si rischia l’effetto “siamo un’azienda leader del settore”, leader di che? C’è però molto da correggere, questo sì. Creare e veicolare storie e contenuti nel modo giusto e nei giusti tempi non è sempre immediato e non dipende certo dai servizi offerti. D’altronde oggi tutti producono contenuti. Ma non tutti sanno creare storie da raccontare, lo recita anche il nostro sito.
Social media: la grande novità della fine del XX secolo si avvicina ai 30 anni di storia, con Facebook che il 4 febbraio ne ha compiuti 20 e le piattaforme più giovani che hanno saputo imporre nel tempo nuovi standard. Sono ancora centrali e prospettici per le aziende o stanno lentamente perdendo forza?
Non credo che possano perdere forza facilmente perché hanno dimostrato nel corso degli anni di saper offrire alle aziende strumenti di engagement sempre più potenti e mirati. Purtroppo, e a discapito di ciò che sembra, non tutti ne riconoscono le reali potenzialità, molti credono di dover essere presenti sui social perché bisogna farlo ma sul come, rischiamo di scoperchiare il vaso di Pandora. Che siano centrali, non credo lo siano per tutti perché la comunicazione e la creazione dei contenuti di un messaggio devono appoggiarsi a precisi e adeguati mezzi e quest’azione può anche non essere social-centrica, sicuramente di supporto ma non sempre centrali. Prospettici sì, soprattutto per determinati settori se si accetta di rispettarne tutti i canoni iniziando dall’elemento cardine: il linguaggio. Tutto cambia, e oggi lo fa molto velocemente, se si decide di starci dentro bisogna farlo adeguatamente, è l’unico modo per trarne vantaggi anche a discapito di qualche commento negativo.
Ambassador, influencer, opinion leader: cos’è cambiato nella percezione e nel rapporto con le aziende da quando è iniziata l’era di TikTok e del reality show permanente, in cui ciascuno racconta in live streaming la propria esistenza?
Tik Tok è il re indiscusso della social experience, sia per le aziende che per le social people, ma c’è una percezione errata sul modus operandi. Strategie come il product placement o l’uso di testimonial sono sempre esistiti, hanno solo assunto significati e nomi diversi dettati da una targetizzazione più mirata ed efficace. Per far sì che la percezione sia davvero quella giusta bisognerebbe più che altro lavorare sulla scelta delle figure: non basta chiamare la prima agenzia di influencer che troviamo su Google e selezionare i più blasonati o conosciuti, ma bisognerebbe creare un po’ di empatia con chi si sceglie di farsi rappresentare altrimenti si rischia l’effetto usa e getta e a volte ciò che viene gettato sono budget sproporzionati. Bisognerebbe creare rapporti a lungo termine, nel caso di ambassador e opinion leader, perché credere che “se chiamo tizio, ci fa fare il botto in 15 giorni”, non è sempre una buona idea oltre che non vero. La crescita e l’efficacia di un messaggio a volte hanno dei tempi imprescindibili per essere assimilati e la social culture del “tutto e subito” regge fino a certo punto perché l’utente vuole ancora affezionarsi e sentirsi rappresentato, e questo richiede tempo.