Grazie per questa intervista e per la partecipazione al #GMSummit25.
AI e GenAI sembrano essere i trend più promettenti per il marketing digitale nei prossimi anni, ma già oggi ne viene fatto largo uso in molte aziende, con risultati non sempre in linea con le aspettative. Cosa consigliate per usare al meglio questi strumenti?
Innanzitutto consigliamo un approccio culturale e non “strumentale”. E’ chiaro che l’AI rappresenta una grande opportunità per tutti noi, per velocizzare processi, trovare rapidamente informazioni e soluzioni, apprendere in linea generale. Allo stesso tempo bisogna tenere sotto controllo alcuni rischi e non parlo solo sul piano etico, ma anche strategico. L’adozione dell’AI va guidata mantenendo un equilibrio tra entusiasmo e senso critico. Le organizzazioni devono essere altamente consapevoli della sfida, ovvero preservarne l’intelligenza umana, scegliendo volta per volta cosa delegare alle macchine. L’intelligenza umana ci serve prevalentemente a fare due cose: creare qualcosa di nuovo che prima non c’era, scardinando ricorsività e bias degli algoritmi, e verificare la bontà di quanto ci viene restituito dall’AI grazie alla nostra competenza generale. Per questo durante il nostro workshop faremo tanti esempi di come abbiamo usato l’AI soprattutto per fare meglio e non solo per fare “prima”, individuando con grande attenzione gli ambiti di applicazione nelle imprese (spoiler: non è una questione di tecnologia, quella c’è già. È questione di metodo)
Quali sono le principali tendenze digitali che stanno plasmando le vostre strategie attuali e come trasferite questo know-how ai vostri clienti?
La nostra strategia è sempre la stessa e resiste alle tendenze. È quella di tenere sempre insieme l’approccio creativo alla comunicazione, senza dimenticare la misurazione. E’ un mindset per cui nella nostra agenzia vince sempre la contaminazione, perché è fondamentale tenere creatività e i dati in un unico metodo.
I messaggi che i brand trasmettono devono essere coerenti con i loro valori, risultare riconoscibili e alla fine misurabili.
Noi lo abbiamo fatto costruendo un workflow interno, dove ogni progetto viene sottoposto a un ciclo di passaggi che partono dal codesign creativo e terminano con dei piani di misurazione.
Gli abbiamo anche dato un nome, si chiama IDA, Idea Driven Approach, intersecando tutte le competenze degli specialisti di agenzia, dagli art director ai digital analyst.
Quali sfide incontrate più spesso nel connettere i brand alle proprie audience di riferimento?
Il controllo della customer experience. Spesso i brand fanno azioni scoordinate, guidate da impulsi e una mancata pianificazione coerente.
È vero che lo scenario è complesso, gli asset si moltiplicano e che tante attivazioni sono gestite da team differenti, che con difficoltà si parlano. Ma questo non deve essere un alibi: tutta la progettazione deve essere orientata all’utente e a quello che vive passo dopo passo, da un clic su un ads, a una visita al sito, fino a un incontro fisico.
Per questo abbiamo sviluppato un servizio di ricognizione completa dei percorsi degli utenti per permettere ai nostri clienti di avere una visione aggiornata e puntualmente verificabile di quello che accade e degli impatti che ogni scelta ha.
I messaggi di comunicazione devono avere un’influenza reale e consistente in tutto il customer journey, su tutti i touchpoint fisici e digitali.
Se non sei e non fai quello che dichiari, l’audience tenderà a disinteressarsi o peggio ancora a svalutare la reputazione del brand.